Cos’è l’arte concettuale?

Nel corso degli ultimi decenni del ventesimo secolo, il mondo della creatività e della cultura è andato incontro a tantissimi cambiamenti. Questi ultimi, oggi come oggi, sono tornati al centro dell’attenzione grazie ai numerosi appassionati che, in tutto il mondo, acquistano libri sull’arte concettuale e approfondiscono le avanguardie degli anni ‘60 e dei periodi successivi anche attraverso la visita a mostre dedicate. Cos’è di preciso l’arte concettuale? Come già accennato, ci sono diversi libri che ne parlano.

Per chi, prima di iniziare a esaminarli, fosse interessato a sapere qualcosa di più su questo movimento, l’articolo nelle prossime righe ha la risposta.

Arte concettuale: di cosa si tratta?

L’arte concettuale è un movimento artistico che, partendo dagli USA negli anni ‘60, si è diffuso nel resto del mondo, Italia compresa. Secondo i suoi ideatori, nell’espressione artistica è necessario mettere al centro di tutto il concetto e l’idea piuttosto che le mere peculiarità estetiche dell’opera.

L’utilizzo dell’espressione “arte concettuale” si deve a Joseph Kosuth. Nato a Toledo nel 1945 e con alle spalle studi alla School Of Visuals Arts di New York, è diventato famoso soprattutto grazie all’opera One and Three Chairs. Di cosa si tratta? Di un’installazione, da lui stesso definita come la concretizzazione del platonico concetto di forma – il filosofo greco lo ha espresso nel dialogo del Timeo – caratterizzata dalla presenza di una sedia posizionata sul pavimento, della sua fotografia e della foto della definizione del dizionario corrispondente alla parola chair. Tutte e tre le sedie dell’opera d’arte sono sul medesimo piano.

Quando si parla delle opere di Kosuth, è necessario chiamare in causa anche l’ampio utilizzo che ha fatto delle luci al neon, impiegate con il fine di esaltare, attraverso l’esercizio della sua arte, il ruolo della pubblicità nella società contemporanea.

Addio all’approccio emozionale

Una caratteristica importante delle opere di Kosuth e di altri esponenti dell’arte concettuale – tra i quali è possibile includere lo spagnolo Joan Brossa, riguarda l’addio a qualsiasi approccio emozionale all’esercizio dell’arte. Le loro opere – e il sopra citato caso delle tre sedie è esemplificativo come pochi – sono esattamente quello che rappresentano, ciò che lo spettatore vede.

Sono diversi i critici che, nei decenni che sono trascorsi dall’imporsi dell’arte concettuale sulla scena mondiale, hanno descritto la sua ascesa come il risultato di un percorso iniziato con l’impressionismo. La corrente artistica che vide in Monet e in altri talentuosi pittori – ai tempi dei loro esordi poco amati, come dimostra il tono dispregiativo dietro al nome stesso del gruppo, nato da una definizione poco lusinghiera data al quadro Impressione al Levar del Sole – i principali esponenti, è stata la prima a scardinare le regole formali fino a quel momento considerate fondamentali.

Dalla scelta di mettere da parte, nell’esercizio della propria arte, la mimesi della natura, considerata espressione divina, le cose sono via via cambiate e si è arrivati appunto all’arte concettuale, quanto di più lontano possa esserci dalla valorizzazione estetica dell’espressione artistica.

L’importanza dell’happening e della performance

L’arte concettuale – che a partire dalla seconda metà degli anni ‘70 del secolo scorso ha trovato una sua contrapposizione nella transavanguardia, un approccio avente lo scopo di trovare una chiave di lettura a una situazione di crisi economica dopo il boom del decennio precedente – è stata il punto di partenza anche per la nascita dei concetti di happening e performance.

La differenza? Nel primo caso c’è molta più improvvisazione, ci si concentra soprattutto sul concetto di evento e sul fatto di riuscire a organizzarlo, a farlo accadere, come è chiaro dall’utilizzo del verbo to happen.

Per quanto riguarda l’eredità dell’arte concettuale, ricordiamo che molti critici la individuano nella body art, un modo di approcciarsi all’espressione di concetti e pensieri che, come ben si sa, utilizza il corpo dell’artista come fulcro principale e come veicolo di atti spesso estremi.